sandro-zanetti-ph-andrea-poltronieriArriviamo a passo lungo dentro al mese più corto dell’anno ma ricco di occasioni per fare festa (e quindi uscire! e quindi godersi un Poltroshow!)

Per gli amanti dell’estate c’è la Candelora (“dall’inveran a sen fora” dice la Nives!), per i romantici c’è San Valentino (poi non dite che non ve l’ho ricordato), per i single poi c’è San Faustino (se volete vengo a bere con voi, non c’è mica problema!), per i simpaticoni c’è Giovedì Grasso il 28 febbraio (le castagnole sono per me, è ovvio!) e per chi ha voglia di musica e divertimento…c’è il vostro Poltro!
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 Ecco la mia intervista per Fotografie ROCK pagina che vi invito a visitare. Per me un onore e un piacere esserci.

 

Eccoci tornati con una nuova intervista. Questa volta abbiamo parlato con Andrea Poltronieri, sassofonista ferrarese, polistrumentista, che nella sua carriera vanta importanti collaborazioni con noti artisti italiani. Grande appassionato di musica di vario genere, dai Beatles a Lucio Dalla, ecco cosa ci ha raccontato.

FOTOGRAFIE ROCK: Ciao Andrea! Grazie per il tempo che hai deciso di dedicare a noi e agli amici di Fotografie ROCK. Parliamo un po’ di te e di come hai iniziato la tua avventura nella musica, com’è nato questo amore?

ANDREA POLTRONIERI: La passione per la musica è nata quando avevo circa dodici anni, soprattutto grazie all’ambiente in cui vivevo. In casa mia si ascoltava musica di tutti i tipi, dalla musica francese ai cantautori italiani come De Gregori, Guccini, Dalla, ma anche Bob Dylan, musica jazz, Beatles… era impossibile non appassionarsi. Poi grazie a mia sorella, più grande di me, verso la fine degli anni ‘70, periodo di contestazioni e scuole occupate, ho iniziato ad ascoltare un certo tipo di cantautorato italiano, un po’ più di nicchia, come ad esempio Claudio Lolli, o comunque musica impegnata politicamente. Mi vestivo anche alla John Lennon…

FR: E il primo sassofono quando è arrivato?

AP: Non subito. Ho iniziato dapprima con la chitarra, nell’ambiente della parrocchia. C’erano ragazzi più grandi di me che mi insegnarono a strimpellare i primi accordi.

FR: L’ambiente dell’oratorio è un grande classico di quegli anni.

AP: Sì, poi tra una canzone di chiesa e l’altra veniva fuori qualche pezzo di Bennato o di Crosby, Still, Nash e Young. Si cominciava così. Poi, ad un certo punto, sempre con mia sorella, mi sono avvicinato al pianoforte. Il primo era a muro e i miei genitori lo noleggiarono. Così imparai un po’ di teoria, andai a scuola di musica, finché, intorno ai quindici anni, ebbi una folgorazione.
Andai con tutta la mia famiglia a vedere un concerto di Lucio Dalla, a Bologna, era appena uscito il suo disco ‘Dalla’, quello che contiene il brano ‘Futura’, e rimasi davvero colpito dal suo modo di intrattenere e di suonare. Suonava di tutto e in particolare notai il clarinetto e il sax. In quegli anni i miei amici si facevano regalare la Vespa, mentre io a mio padre chiesi un clarinetto. E lui me lo comprò.

FR: La tua famiglia, quindi, ti ha sempre supportato.

AP: Sì, mi portavano a tutti i concerti che volevo, non finirò mai di ringraziarli.

FR: Quindi, dopo chitarra e pianoforte, ti comprarono il clarinetto. E il sax?

AP: Il sax arrivò nell’82. Sempre prima a noleggio, e poi lo comprammo. Cercavo di riprodurre i brani da autodidatta e spaziavo in ogni genere, senza fossilizzarmi su un qualcosa di specifico. Ma fortunatamente non fui mai toccato dal liscio!

FR: Essendo cresciuto in Emilia Romagna era, in effetti, un rischio!

AP: Sono ironico, anche suonare bene il liscio non è facile e io rispetto tutti. Comunque, schivato il liscio, ho continuato per la mia strada. Un mio amico, che suonava in una banda, mi prestò un sax baritono, che, per chi non lo sapesse, è quello gigantesco e io me lo portavo dappertutto, lo suonavo ovunque, perfino in bicicletta. Ho avuto un’adolescenza un po’ particolare…

FR: Sicuramente segnata da una passione sana, però.

AP: Assolutamente, in quel periodo era un attimo farsi prendere da tutt’altro. Per fortuna, la mia droga è sempre stata la musica. Grazie alla mia famiglia, ma anche alle amicizie che ho avuto, sono cresciuto in un ambiente positivo.
Proprio grazie al mio migliore amico, infatti, ad un certo punto scoprii un altro genere di musica, anzi, due: da un lato il prog rock inglese, i Genesis, gli Emerson Lake and Palmer, i Pink Floyd, gli Yes, e dall’altro i Beatles. Ricordo pomeriggi interi a giocare a Subbuteo con i vinili dei Beatles in sottofondo. Ancora oggi, quando ascolto il ‘White Album’, mi rivedo in quella casa, con il mio amico, mentre giocavamo, al posto di fare i compiti.

FR: La passione per i Beatles è alla base della crescita di tanti artisti e musicisti. Quand’è che da ascoltatore e autodidatta sei diventato un musicista a tutti gli effetti?

AP: Dopo poco tempo, sempre nei primi anni ‘80, quando iniziai a suonare in una band che faceva musica new wave, in inglese. Mi ispiravo, come modello, a Clarence Clemons, della E Street Band di Bruce Springsteen. Suonavo ancora d’istinto, la formazione scolastica l’ho recuperata successivamente, e mi piaceva proprio il suo stile con le sue note lunghe e gracchianti, cercavo di imitarlo. Poi, nell’88, mi si è presentata una grande occasione. Suonavo in una band, ricordo che avevamo una cantante danese, era il periodo dei Simply Red, di quell’ondata di musica inglese un po’ jazzata. Facevamo pezzi nostri e avemmo la fortuna di andarli a registrare a Formia, negli studi di Pino Daniele, con lui presente. Ci produsse quattro brani, fu un’esperienza incredibile, ero un suo grande fan.

FR: Davvero una grande esperienza. E poi cos’è successo?

AP: Purtroppo nulla. Il progetto sfumò e la band si sciolse.

FR: Sono davvero in pochi quelli che, per un motivo o per un altro, ce la fanno. E spesso il talento non basta, ci vuole anche fortuna.

AP: In Italia in quel periodo c’era un grande fermento, c’erano i Diaframma, gli Skiantos, i Gaz Nevada. Ogni città aveva il suo movimento, e spesso rimaneva geograficamente limitato. Non c’erano i social, non potevi postare il tuo brano su Facebook o caricarlo su YouTube. Andavo in giro porta a porta, con le nostre locandine, che tra l’altro disegnavo io, avendo fatto studi artistici, portavo le cassette nei locali e cercavo così di proporre la nostra musica.

FR: A tal proposito, rispetto a quegli anni, sono cambiati tanto i mezzi di comunicazione. Quelli di oggi sono sicuramente più immediati, alla portata di tutti, forse un po’ troppo alla portata di tutti?

AP: Non voglio fare di tutta l’erba un fascio, ma credo che oggi ci siano tante band formate da ragazzi giovanissimi che postano un video online e si sentono già arrivati, scrivono “video ufficiale” e hanno strumentazioni pazzesche, costose. Nonostante il periodo economico non sia dei migliori, le famiglie li supportano al massimo, e da un lato è un bene…

FR: Manca un po’ di gavetta, forse. Bruciano le tappe, perché oggi il mondo è diventato sempre più veloce, sempre più connesso.

AP: Sì, questo a discapito anche del mercato degli strumenti. Io continuo a sostenere i negozi, anche perché il sax va provato, non lo puoi comprare a scatola chiusa, ma ormai su internet si trova di tutto.

FR: Parlavamo di cambiamenti, se tu da ragazzino chiedevi ai tuoi genitori di portarti ai concerti di Lucio Dalla, oggi gli adolescenti chiedono di andare al concerto di Sfera Ebbasta. Lasciando perdere l’artista nello specifico, com’è cambiata la visione della musica al giorno d’oggi? Possiamo ‘incolpare’, ancora una volta, internet?

AP: Potremmo parlare per ore di questo, io non mi sento di giudicare nessuno, cerco di ascoltare qualunque cosa e di rispettare tutti. Però vedo che è cambiato il modo di vivere la musica, a livello anche di atteggiamento durante i concerti. Quando andavo a vedere Ivan Graziani, o Lucio Dalla, mi portavo un walkman, di nascosto, per poter registrare il concerto e custodisco ancora gelosamente quelle cassette. Però quei concerti me li sono visti e goduti. Oggi vai al concerto di Cremonini e non riesci a vedere il palco perché devi farti spazio fra tutte queste braccia alzate, con gli smartphone accesi. La gente non guarda il concerto, e anche il lavoro dell’artista sul palco è degradato. Nella registrazione con lo smartphone perdi gli effetti delle luci, non dai valore ai musicisti sul palco, non c’è più attenzione per queste cose. Che tu vada a vedere Sfera Ebbasta o i Queen, goditelo il concerto! Poi, scendendo nel merito della musica contemporanea, vi faccio un esempio. Ho una bambina di 5 anni, ovviamente conosce la musica che ascolto io, stiamo costruendo insieme il sottomarino dei Beatles con i Lego, entra in contatto con quello che è il mio mondo musicale. Però, allo stesso tempo, mi canta a memoria le canzoni di Irama o di Baby K. Naturalmente le ascolta in giro, a casa delle amichette; questo per dire che i figli puoi cercare di indirizzarli fino ad un certo punto, ma è normale che entrino in contatto anche con altre realtà, non credo sia un male. Poi è chiaro che io abbia i miei gusti e che siano parecchio distanti da questi, ma non mi sento di condannare nessuno.

FR: No, certo. Più che una condanna è una constatazione sui gusti adolescenziali di questi tempi, che saranno sicuramente il riflesso di quella che è la società giovanile odierna. C’è forse, oggi, una cultura dell’ ‘usa e getta’. Abbiamo parlato di Beatles, Pink Floyd, band che ascoltiamo ancora oggi, dopo 50 anni, che abbracciano intere generazioni, dai ventenni ai più grandi, ai bambini come tua figlia. Al giorno d’oggi c’è un ricambio quasi annuale, e questo vale per tanti campi artistici e per tutte le fasce d’età.

AP: Sono cambiate tante cose, è vero. Dal punto di vista mediatico, soprattutto. Prendiamo, per esempio, i film musicali. Ci sono sempre stati: quando uscì ‘The Wall’ ci fu un bel fermento; in Italia, nel nostro piccolo, ‘Banana Republic’ ebbe un gran successo. Oggi ‘Bohemian Rhapsody’ ha alzato un gran polverone, ed è stato portato anche un po’ all’estremo, adesso uscirà perfino la versione karaoke. Comunque a me il film è piaciuto tantissimo, che sia pur romanzato, non m’interessa, sono anche un appassionato dei Queen, e ben venga questa esposizione mediatica, perché fa sì che anche le nuove generazioni possano entrare in contatto con questa bellissima musica. Anche perché per il resto, come avete detto, rimanendo in Italia, ci sono pochi fenomeni sporadici di nuovi artisti che fanno successo, quest’anno Ghali, ad esempio. Per il resto, in testa alle classifiche ci sono sempre la Pausini, Jovanotti, Vasco, Cremonini…

FR: Sono sempre gli stessi che riempiono gli stadi da diversi anni.

AP: Sì, poi se sei un appassionato ti vai a cercare anche la musica indipendente, c’è tutto un mondo meno conosciuto pieno di musica interessante. Comunque, in generale, si va ad ondate. Adesso c’è il fenomeno della musica elettronica, alla Thegiornalisti, o quello del reggaeton, e lo strumento che suono io è difficile da collocare in questi generi.

FR: Possiamo, però, collocarlo all’interno del rock. Anche se solitamente il sax lo si associa più al mondo del jazz, ci sono stati un’infinità di artisti e rock band che lo hanno usato nei loro album. David Bowie era nato come sassofonista, e anche nella new wave il sax era molto usato, pensiamo, ad esempio, a gruppi come i The Sound. Quali sono i tuoi riferimenti nel rock, a parte il già citato Springsteen con Clarence Clemons, per quanto riguarda l’uso del sassofono?

AP: Posso sicuramente citare i Supertramp, i Van der Graaf Generator, i Pink Floyd, che hanno usato il sax col contagocce, ma sempre in maniera memorabile. Altri gran pezzi in cui il sax è valorizzato sono ‘Baker Street’ di Gerry Rafferty, o ‘I Don’t Wanna Talk About It’ di Rod Stewart, ma anche Tina Turner lo ha usato moltissimo nei suoi brani, oppure Sting. Inoltre, vorrei citare come mia sassofonista di riferimento, anche Lisa Simpson. Ce l’ho perfino tatuata sul braccio.

FR: Da un lato i Beatles e dall’altro Lisa. Fantastico. Tornando proprio a te, ad un certo punto della tua carriera, comunque, il sax ti ha dato una grande possibilità.

AP: Non dimenticherò mai quel giorno in cui mi aggiravo per l’aeroporto di Bologna in attesa di imbarcarmi per il Kenya, dove stavo andando per suonare ad una convention, con il mio sax nella sua custodia, corredata di adesivo dei Beatles, e vidi Gaetano Curreri degli Stadio. Lui notò l’adesivo, si avvicinò e ci salutammo. Gli parve strano che ad essere un appassionato dei Beatles fosse un sassofonista, anziché un chitarrista. Così parlammo un po’ e scoprimmo che eravamo entrambi diretti a Malindi e che avremmo alloggiato nello stesso posto. Gli Stadio avevano due concerti in programma e Gaetano mi chiese di assistere alle loro prove e di portarmi il sax. Così scoprì che conoscevo tutti i loro brani, mi fece tanti complimenti e mi invitò a suonare con loro quella sera. Pensavo che la cosa sarebbe finita lì, invece mi richiamarono anche per il tour. Partecipai con loro, nel 2012, anche al concerto per i terremotati dell’Emilia, allo stadio Dall’Ara di Bologna, insieme a tantissimi artisti importanti.

FR: Ricordiamo, fra gli altri, Zucchero, Ligabue, i Nomadi, Guccini, Morandi…

AP: Sì e il bello è che il giorno dopo ero a suonare alla Sagra dell’Arrosticino, per dirne una. Questa è una cosa che ho imparato con gli anni, bisogna sempre tenere i piedi per terra. È una passione diventata lavoro e perciò amo suonare davanti a 5000 persone come a 150.

FR: Quando si riesce a trasformare la propria passione in una professione, diventa il lavoro più bello del mondo.

AP: Sì, apprezzo tutto ciò che il mio lavoro mi porta a fare. Compreso ciò che è arrivato dopo gli Stadio, una cosa completamente agli antipodi, ovvero la collaborazione con Cristina D’Avena.

FR: A chi non piacerebbe lavorare con Cristina D’Avena! È il sogno erotico di molti adolescenti di una volta.

AP: Ma anche di quelli di adesso! Comunque, quando seppi del progetto che stava per avviare con i Gem Boy m’interessai alla cosa e, cinque anni fa, mi recai all’Estragon di Bologna per conoscerla. Avevo preparato ‘È Quasi Magia Johnny’ e ‘Occhi di Gatto’ con il sax e a lei piacque tantissimo il mio modo di suonare. Da lì non mi ha più lasciato.

FR: Avete suonato a Roma, a Capodanno.

AP: Sì, quando è stata fatta la famosa foto con Cristina e Rocco Siffredi. Mi diverto moltissimo ad esibirmi con lei, ho imparato anche nuovi modi di suonare, ad interagire con lei sul palco. Mi piace far emozionare il bambino di cinque anni, così come la signora di settanta.

FR: Quel giusto mix di emozione e intrattenimento, il tutto legato dalla passione che viene trasmessa.

AP: Esatto. A tutto ciò ho da sempre affiancato la mia carriera solista, ho inciso due album, e faccio delle serate col nome di ‘Poltrosax’. Inoltre, ho un’altra passione parallela, che è quella della comicità, legata in particolare a due nomi: Sergio Sgrilli e Paolo Cevoli. Sono due amici e li stimo moltissimo. Sgrilli faceva cose, ai tempi di Zelig, molto simili a quelle che facevo io.

FR: Parodie di canzoni, o comunque comicità in musica, diciamo.

AP: Sì, lui è un bravissimo chitarrista. Gli scrissi per complimentarmi nel 2002, lui mi rispose e da lì non abbiamo più smesso di collaborare. Mi ha insegnato moltissime cose. Abbiamo un progetto discografico in uscita a breve, musica e comicità. Un progetto folle.

FR: Hai suonato per diverso tempo proprio nell’orchestra di Zelig.

AP: Sì, insieme anche a Rocco Tanica, che è un altro grandissimo. Mentre Cevoli mi ha portato in scena su Canale 5, con Claudio Bisio, in uno sketch molto divertente, nel quale usavo il sax per simulare il clacson di un camion. L’ennesima veste per il mio strumento.

FR: Hai potuto coniugare i tuoi due mondi, quello del sax e la comicità.

AP: Sì, è stato bellissimo. Sono arrivato, a 53 anni, ad aver fatto tantissime esperienze diverse e non ho intenzione di fermarmi.

FR: Ti seguiamo su Facebook e vediamo che sei sempre molto attivo. A tal proposito, che rapporto hai con i social?

AP: Mah, un rapporto molto spontaneo, senza forzature e senza sovraesposizione. Non ne sono dipendente e li uso con criterio, anche perché possono essere un’arma a doppio taglio, specialmente per un artista. Ammiro molto l’uso che ne fa Paul McCartney, con saggezza e una grande simpatia. Va beh, stiamo parlando di un genio, di uno che a 76 anni ha fatto un altro disco bellissimo. Io miro molto più in basso. Mi basterebbe riuscire a diventare un musicista di riferimento per quanto riguarda il sax, in Italia, affinché non lo si associ più solo al nome di Fausto Papetti.

FR: E alle sue copertine!

AP: E alle sue copertine. Con tutto il rispetto per Fausto Papetti…

FR: Speriamo allora di aver contribuito con questa intervista, nel nostro piccolo, a far sì che il sax venga, d’ora in avanti, associato al tuo nome.
Grazie mille Andrea e, visto che ne sei tifoso, forza Spal!
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